Pensavo a Fernando Pessoa, a Dante, a Boccaccio. Pensavo a Walt Whitman, a William Shakespeare, a Louis-Ferdinand Céline. Pensavo a J. D. Salinger, a Giuseppe Ungaretti, ad Alda Merini. Pensavo a Joyce Carol Oates, a Catherine Dunne, a Wislawa Szymborska.
Pensavo a Rupi Kaur, a José Saramago, a Giosuè Carducci. Pensavo a Charles Bukowski, a Raymond Carver, a Eugenio Montale. A Maxence Fermine, a Charles Baudelaire, a Ernest Hemingway. A Lewis Carroll, a Hans Christian Andersen, a Carlo Collodi.
A Gianni Rodari, a Susanna Tamaro, a Banana Yoshimoto. A Haruki Murakami, a J. R. R. Tolkien, a Fëdor Dostoevskij. A Lev Tolstoj, a Bram Stoker, a Mary Shelley. Pensavo a Simone Tempia, a Guido Catalano, a Gianluca Morozzi.
Pensavo a mio fratello Gabriele, che legge da sempre e scrive benissimo.
Pensavo a mio padre Valter, che scrive da sempre e legge il teatro dell’assurdo.
Pensavo a mia madre Margherita, che scrive e legge silenziosamente, ma avrebbe il talento per farlo ad alta voce.
Pensavo a Lao Tzu, a Umberto Eco, a Patrizia Cavalli. Pensavo ad Ágota Kristóf, a Clara Sánchez, a Gabriel García Márquez. A Federico García Lorca, a Pier Paolo Pasolini, a Pablo Neruda.
Ad Emily Dickinson, a Giovanni Pascoli, a Giovanni Raboni. Ad Attila József, a Vladimir Vladimirovič Majakovskij, a J. K. Rowling. A Grazia Deledda, Elsa Morante, Dacia Maraini. A Oriana Fallaci, Goliarda Sapienza, Margaret Mazzantini. A Louisa May Alcott, Tracy Chevalier, a Joan Didion. A Marguerite Duras, a Fernán Caballero, a Carlos Ruiz Zafón. Pensavo a Topolino, a Geppo, a Mafalda, ai Peanuts.
Penso come un fiume in piena:
non smettere mai di leggere
non smettere mai di leggere.
Come medicina di fronte all’arroganza e alla chiusura sociale, non smettere mai di leggere.
(Non smettere mai di viaggiare, sarà un’altra storia.)