Dall’arte povera di Michelangelo Pistoletto ai disegni di Matt Groening, dall’arte preistorica a quella egizia, “La Voce” – spettacolo della compagnia FZU35 per la regia di Carola Minincleri Colussi, in scena al femminile Alice Marchiori e Veronica Di Bussolo e al maschile Pietro Zotti e Anatolij Tegon – è un susseguirsi di immagini evocative per far emergere l’amore.
Il 3 ottobre 2021, presso il Teatro del Parco di Mestre Venezia, ha debuttato lo spettacolo “La Voce“, in scena Alice Marchiori e Veronica Di Bussolo. Di questo spettacolo ci sono due versioni, una interpretata al femminile e una al maschile, da Pietro Zotti e Anatolij Tegon, la regia è a cura di Carola Minincleri Colussi e l’aiuto regia di Innocenzo Capriuoli e Anna Novello. Per arrivare al debutto, la compagnia FZU35 ci ha messo più di un anno di ricerca teatrale ispirandosi al libro “Oltre. Scoprirsi fragili: confessioni sul (mio) disturbo alimentare” (ed. Liberodiscrivere) di Sandra Zodiaco ed è stato anche finalista al Premio nazionale alle arti sceniche Tuttoteatro – Dante Cappelletti 2020.
Per la ricerca artistica, iniziata con uno studio sui DCA – Disturbi del Comportamento Alimentare, e proseguita con le battaglie interiori che ognuno di noi può trovarsi a combattere, hanno lavorato anche Arianna Favaretto Cortese, Brixhilda Sqhalsi e Sabrina Giacopello.
Lo spettacolo si apre con un’immagine della perfezione iconica che socialmente abbiamo digerito per anni: donna, bella, magra, con gonna, camicia bianca e foulard – stile hostess di volo con il sorriso lucente. Solo che il sorriso qui non c’è, non si piace, non si accetta, e lo scopriamo scena dopo scena.
Di fronte alla lei statuaria, un cumulo di vestiti che ricordano l’arte povera di Michelangelo Pistoletto.
In questa montagna, osservandola bene, c’è un ordine maniacale della disposizione cromatica: a sinistra gli indumenti delle sfumature del rosso, a destra quelli del blu, dietro, il caos. C’è un riordino in partenza che stride, e lo noterebbe anche Marie Kondo.
Tornando alla nostra Lei, dopo una prova d’abito sportivo ed un conflitto con la vestizione, passa ad un accappatoio che percepiamo essere un kimono, oserei, da geisha – artista e intrattenitrice giapponese, “prostituta” cinese, nell’onirico sessuale maschile spesso viene fatto questo riferimento “vorrei una geisha come donna“. Ma nulla, ancora nulla, si sente nulla, non prova nulla, va verso il nulla? Non si piace, di nuovo, non si accetta. Ed entra in gioco il demone.
Matt Groening in “Disicanto” ha disegnato perfettamente Luci, piccolo demone cinico con le sembianze di un gatto-spiritello, con cui la protagonista Bean s’interfaccia costantemente. E la nostra Lei combatte con quest’Altra Lei, che possiamo chiamare Voce di Gatto – tant’è che in preda alla resa, nel momento dell’abbandono totale verso l’addio, in scena si sente proprio un “Mao“. E il gatto, come ci insegna l’arte egizia, è la personificazione della divinità con baffi e coda, da amare e temere, ma non solo, è anche l’animale che se troviamo miagolare davanti alla porta di casa, vuole dirci qualcosa. Un gatto non fa sentire la sua voce per nulla.
Continua, quindi, questa lotta con armature – seppur le attrici siano minimali in scena – con il sé e il nulla, un cuore rosso al centro della scena che pulsa e allo stesso tempo si svuota, con la tentazione costante di riempire il sé con degli ovetti di cioccolata, per poi gettarli e rigettarli, troppe calorie, bisogna sudare, si corre, ci si svuota.
Ma l’uovo è anche l’archetipo che può riportare ogni elemento alla sua purezza originaria, riportando salute alla materia corrotta.
Ed è qui che la voce si fa sentire, la voce pura, che chiede aiuto, ma soprattutto, si permette di darsi aiuto, perché chi soffre di un disturbo alimentare vive costantemente a contatto con il “permettersi“. Posso concedermelo?
Io e demone, demone ed io.
Un omaggio alle caverne dell’arte preistorica, in scena il nitrito del cavallo che non si stanca di galoppare e vuole ancora combattere, o forse, meglio, vuole andare. Libero.
Libera la voce ed esprimi un desiderio.
“La Voce”, con l’auspicio che questo spettacolo possa echeggiare in tutta Italia, anche come progetto scolastico.
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Isotta Esposito per Viaggiarte