Di blocco dello scrittore se ne è parlato molto, può arrivare nel bel mezzo di una stesura di un racconto, di fronte ad una pagina bianca o anche verso la conclusione di un romanzo, e la durata è sempre indefinita: dipende da te. Ma quando chi ama scrivere smette, per un po‘, non significa che stia vivendo un blocco, anzi, sta lavorando magari in parallelo, per convivere meglio con questa relazione.

La premessa è che non sono una grande sostenitrice delle pause di riflessione nei rapporti, preferisco che le energie si mettano in moto per trovare come annaffiare il proprio terreno nel modo migliore, e se non dovesse più germogliare, pazienza, ci sono infinite semine. Questo per dire che chi ama scrivere vive con la parola un vero e proprio rapporto amoroso, che può diventare noioso, giocoso, morboso, soffocante, altalenante, idilliaco, costante, senza filtri, appassionato, ardente, premuroso, tenero, dolce, e ad una certa, ha bisogno di equilibrio.

Il 70% del mio lavoro ruota attorno alla scrittura, significa che per me non avere a che fare con un testo per un lungo periodo è abbastanza difficile, ma se scindo l’azione del (passatemela) “dover fare” da quella del sono in piena limonata con la parola, posso permettermi di non baciarla per un po’ e provare a capire come accarezzarla meglio.

Per tre mesi mi sono staccata da quella che chiamo – scrittura principalmente per me – per affrontare un lavoro in parallelo. Il calabrone-pandemico ha punto la schiena del mio scrivere, l’arte e il viaggiare. Per un periodo mi sono ritrovata a definire arte brutta ovunque, non mi ha entusiasmata nulla, men che meno certi lavori di giovani artisti promettenti, e me ne sono sentita dispiaciuta. Anzi, mi ha fatto male non aver avvertito alcun effetto wow. Con la valigia ho avuto un rapporto conflittuale, ci sono stati giorni in cui solo all’idea di doverne preparare una mi saliva lo stress, e di base vivo con un trolley a portata di mano semi pronto e il guizzo per l’andare improvvisando una partenza anche in poche ore. Niente, voglia zero, anche solo di dover controllare le zone sì e quelle no, poi ci piazzi gli ingressi, il green pass, il tampone che vai e il tampone che trovi, documentazione da firmare, consensi, autorizzazioni al trattamento dei dati personali, e una pigrizia latente. Una pigrizia che no, in realtà non mi appartiene. Per cui mi sono detta: “Ok, affrontiamo un’avventura e vediamo dove mi porterà“.

koh samui
Meditazione, Isola di Koh Samui – Thailandia 2017, Isotta Esposito Viaggiarte

Ad ottobre 2021 ho iniziato un percorso di Yoga Sciamanico con Patrizia Notaro. Lo Yoga Sciamanico è uno yoga ancestrale, tantrico, lavora sui due mondi, sul bianco e il nero, sul giorno e la notte, la luce e il buio, e fonde la filosofia buddista Theravada alla potenza Sciamanica. Patrizia ha un dottorato di ricerca in genetica, nell’ambito delle Neuroscienze, ed è iscritta all’Associazione Italo-Svizzera di Counseling e Coaching. Mi è piaciuta da subito, a partire dalla sua presentazione: “La mia è solo una vita, tra le tante. – Io sono uno zero – disse una volta un maestro Sufi. Lo zero è il vuoto assoluto che, in virtù di questa qualità, può riempirsi e svuotarsi a suo piacimento. La mia è solo una vita tra le tante, una vita che ad un certo punto ha intrapreso un cammino verso lo zero.

Lo sciamano è un viaggiatore, che esplora il visibile e l’invisibile e lo fa attraverso il corpo, entrandoci nel modo più sacro che ci possa essere, con un filo dorato che, come per lo yogin, è il respiro. Il respiro è la strada sotterranea per eccellenza e dentro al corpo si muove l’Universo. Tra archetipi e chakra, abbiamo esplorato il vuoto, necessario per la creazione, lavorando sulla conoscenza delle radici e del bambino interiore, ricordandoci costantemente che non c’è ascesa senza viaggio nelle profondità.

Danze alchemiche, yoga del suono e del calore, storytelling, sequenze fluide, ruota della medicina, tecniche di trance e danza primordiale, ci hanno accompagnate in questo cammino per parlare alla memoria delle nostre cellule, risvegliandole e “si riscopre la parte più essenziale e connessa con la Grande Madre, la natura“, per citare Patrizia.

La ghianda sa già in potenza di essere una quercia, non può resistere a questo richiamo, accetterà di morire, o meglio, di trasformarsi, e diventerà nutrimento per la terra. Con questo messaggio, arrivato durante una sequenza fluida che mi ha letteralmente sbattuto in faccia le resistenze e le chiusure nei confronti della vita, ho intuito quale fosse la direzione della strada per il mio ritorno all’essere. Perché la pratica funziona sempre, ti mostra quello che sei disposto a vivere.

Ora ho un mandala che devo donare ai quattro elementi, aria, fuoco, acqua e terra; sto temporeggiando? No, lo farò dopo la pubblicazione di questo pezzo, che per me segna la conclusione di un lavoro potente in parallelo e la semina per la mia storia con la scrittura.

Glamping, Isola di Palawan – Filippine 2018, Isotta Esposito Viaggiarte

.1.
Uno, il numero dal quale fiorisce un’idea, il simbolo dell’inizio, l’intraprendenza, il coraggio, è indivisibile e indica l’unità. Uno, è anche il primo post che pubblico su Viaggiarte nel 2022.
Ne seguiranno altri 11 + 1.

Nel mentre:
ho lasciato che scadesse il mio passaporto e sono andata a fare un nuovo documento, ho comprato una valigia nuova, ho fatto pace con la compilazione di moduli (come? Accetto e non spreco energie), ho prenotato un volo, ho scritto una lista di mostre, luoghi d’arte e natura che mi piacerebbe vedere, e sì, la pigrizia è svanita ed è tornato un nuovo guizzo. Anche perché, ovunque vada, il mio cuore è sempre connesso a quello di un’altra creatura meravigliosa, e tutto il mio modo di pensare e agire cambia ed evolverà ciclicamente.

Oggi, brindo agli arrivi e alle partenze.