.3. Il numero perfetto, la totalità cosmica. La Triade, la sintesi spirituale. Il tre è la soluzione del conflitto posto al dualismo.
Tutte le strade portano alla pace è il numero 3.
Sono giorni in cui fatico ad ascoltare Imagine di John Lennon, anzi, a scriverla meglio, sono mesi; da quando i talebani hanno raggiunto e preso Kabul, il 15 agosto 2021. Ero in montagna e anche i media stavano bombardando. In un’ora di pioggia che poi ha aperto al sole, ricordo di essermi detta – che pace, e di essermi anche auto-morsa la lingua. Perché quando respiri pace e dall’altra parte non ce n’è, cresce una forma di rispetto silente.
Ne parlavo alcune sere fa davanti ad una birra con un amico, come facciamo a raccontare, anche banalmente attraverso quelle che possono essere delle piattaforme Social, che un evento che abbiamo organizzato è andato davvero bene o di quanto siamo stati felici in un viaggio, mentre il mondo continua ad innescare?
Va cambiata la narrazione e per farlo serve un lavoro costante.
– Sì, ma così non blocco le dinamiche di una guerra.
– Eccerto, e qui non parliamo di geopolitica con battute da due spicci.
Io, che comunico, posso scegliere di raccontare pace, perché pace richiami pace (che sia anche la parola chiave del pezzo, penso si sia capito).
La bellezza, e qui includo l’arte, e la natura, possono venirci in aiuto in questa nuova narrazione individuale. Parto da me e disinnesco: stop alle condivisioni di dati allarmanti, se avverto tensione nell’aria apro le finestre e creo ricircolo o se non mi è possibile, chiudo gli occhi, respiro o faccio due passi, scelgo di muovermi come corpo nello spazio con gentilezza.
Sto nel verde o a contatto con l’acqua, ritaglio del tempo per coltivare la solitudine o chiedo a degli amici di trascorrere del tempo insieme, vado a vedere una mostra o leggo un romanzo su una panchina all’ombra, ricerco quelle che sono delle mie oasi di pace e scelgo di focalizzare qui i miei racconti con l’esterno. Lavoro sulla base e nel frattempo aiuto, come e dove posso.
In una chat, una cara amica mi manda un vocale piuttosto lungo. Inizio ad ascoltarlo, mentre mi lavo il viso, mi metto la crema idratante, preparo il caffè, scelgo lo yogurt, pulisco il lavello, … insomma, mi accompagna per un po’. In estrema sintesi mi dice: “Sono andata a ripercorrermi la storia familiare di Putin“. Bingo. Non addossiamo certo a madre e padre del figlio demone le colpe di un percorso di vita così devoto alla cattiveria, ma se cresci in un contesto che ti incita alla prestanza fisica, al dominio, alla forza, al rigore, al diktat come unica via, che ti addossa le pene della tua esistenza, e se lo fai in un Paese che si chiama Russia, o emigri e forse ti salvi, o punti a diventare un dittatore. E anche qui, la sto facendo snella, ma possiamo parlarne per ore: la spinta naturale aiuta la fioritura personale.
E di fiori pazzeschi la Russia ne è comunque ricchissima.
1 Giugno 2011, Mosca
Ci vado per una Summer School, al mattino ci dedichiamo allo studio della lingua russa, al pomeriggio ci immergiamo nella cultura. Ne sono elettrizzata, è la prima volta che mi trovo sola lontano da casa e ho il tempo per approfondire ciò che mi piace. Ma che cosa mi piace?
Marc Chagall (nato da famiglia ebraica a Lëzna, attuale Bielorussia, allora Impero russo), nome d’origine Mark Zacharovič Šagal. Ha sempre detto di essere nato morto, perché il giorno della sua nascita i cosacchi attaccarono il suo villaggio e la sinagoga fu bruciata. Va a vivere a San Pietroburgo, poi a Parigi, deve tornare in Russia, ancora la Francia, gli Stati Uniti, l’amata Francia. La sua arte è onirica.
Nikolaj Gogol’ (nato a Velyki Soročynci, nella Regione Poltava dell’Ucraina), viaggiò in Germania, in Svezia, in Francia, in Italia, affascinato da Dante, lavorò per anni a “Le anime morte”, auto-bruciandole. La sua ironia nei confronti dei costumi della società russa è tagliente. “Il revisore” è un capolavoro, Dostoevskij riferendosi alla generazione di scrittori e pensatori russi aveva affermato “Siamo tutti usciti dal cappotto di Gogol” (è un racconto gogoliano). L’etica spoglia si sente un po’ in tutta la sua opera.
Fëdor Michajlovič Dostoevskij (nato a Mosca e morto a San Pietroburgo, con tanta Europa nel mezzo). L’addio al servizio per la letteratura, le crisi epilettiche, il carcere, la mancata fucilazione, la Siberia, l’Europa e ancora Europa, è l’artista del caos. E quando c’è il caos i personaggi giocano che è una meraviglia.
Vladimir Vladimirovič Majakovskij (nato a Bagdati, in Georgia, al tempo Impero russo). Molta della sua arte, soprattutto le sue poesie, sono state censurate prima dal regime zarista e poi dalla dittatura staliniana. È stato cantore della rivoluzione d’ottobre, nel 1922 fondò il LEF – Fronte di Sinistra delle Arti, organizzazione politica e artistica che combatteva per un’arte che sia costruzione della vita. Andò a vivere in America e poi tornò nell’URSS. Si è tolto la vita, ma “per favore, niente pettegolezzi”.
Kazimir Severinovič Malevič (nato a Kiev, Ucraina, allora Impero russo), padre del Suprematismo, dove la sensibilità era vista come l’essenziale. Appoggiato inizialmente dal governo sovietico, dopo diversi viaggi, e dopo aver dimostrato di essere amico di Le Corbusier, Jean Arp, ma soprattutto di artisti tedeschi che frequentavano anche il Bauhaus, fu interrogato e imprigionato per due mesi. Il suo “Quadrato nero” viene spesso definito come – il punto zero della pittura. Quando me lo sono trovata davanti alla Galleria Tret’jakov, non mi sembrava reale.
Konstantin Sergeevič Stanislavskij (nato a Mosca), a lui dedico la mia Tesi di Laurea Triennale che mi porta a studiare lettere inedite e i grandi processi che sono alla base del suo Metodo per l’interpretazione, la reviviscenza e la personificazione. Con lui entro in contatto proprio prima di andare in scena per la prima volta.
Nell’estate del 2013 mi imbatto in Boris Leonidovič Pasternak (nato a Mosca), e nel suo dottor Živago. Faccio onestamente fatica a digerirlo, ma devo portarlo per un esame di letteratura russa per l’editoria, quindi lo affronto. Continuo a scoprire un mondo, quello della censura, che mi invoglia sempre di più ad informarmi e a battermi per la libertà d’espressione. Pasternak dovette rifiutare il premio Nobel per la letteratura, perché il KGB lo avrebbe espulso dall’Unione Sovietica. Fu soltanto con Gorbačëv che il romanzo venne pubblicato legalmente in Russia.
E tutto questo scavare mi porta poi ad Anna Stepanovna Politkovskaja (nata a New York, doppia cittadinanza russo-statunitense, morta a Mosca – assassinata. Il suo corpo è stato ritrovato nell’ascensore del suo condominio, il 7 ottobre 2006. Il 7 ottobre è anche il giorno del compleanno di Vladimir Putin), a lei dedico un capitolo della mia Tesi di Laurea Magistrale sulla manipolazione delle informazioni in Russia. Perché mi piace? Per il suo giornalismo, la sua difesa dei diritti umani, per il suo essere una persona – come scriveva, “che descrive quello che succede a chi non può vederlo”.
Potrei proseguire, perché di anime belle in Russia ce ne sono davvero tante, ma mi fermo.
Dico solo che in questo momento presente ce ne sono, e lo sappiamo tutti. Però alle Poste, un’amica russa che vive in Italia da anni e deve mandare un aiuto alla sua famiglia a cui hanno bloccato un conto, viene giudicata perché “ah, sta aiutando i russi“. E un’altra, che da anni lavora per un colosso dell’arte, si sente dire che “quest’anno non prendiamo nessun russo nel team per l’evento“.
Allora lo sappiamo, ma va bene così. No, così non va bene.
Sia chiaro che non sono filorussa, ma filo-pace. E la pace e l’umanità non hanno bandiera.
Faccio partire Imagine.
Poi, mentre cerco un cenno storico sul Mausoleo di Lenin, Google – che è indubbiamente più intelligente di me (aiaiai) – mi chiede se sto cercando la strada da via Lenin a via John Lennon. Realizzo che dovrà essere il titolo per questo pezzo, perché tutte le strade portino alla pace.
You may say I’m a dreamer, but I’m not the only one.